In contumacia

La prima volta che ho sentito questo termine, ero al liceo. Si parlava, ovviamente, di processi, di quanto cambiassero gli esiti di questi ultimi nel momento in cui l'accusato fosse assente e impossibilitato a difendersi. Anche se non tutti abbiamo avuto la pessima esperienza di essere portati in tribunale, una vicenda ben più comune è quella di essere giudicati per qualche nostra caratteristica, o errore (presunto o reale che sia) senza la possibilità di difenderci, di spiegarci, di mostrarci per ciò che siamo. Il motivo è uno solo: il punto di vista delle persone è sempre filtrato dalle loro esperienze, i loro traumi, i loro desideri e non siamo noi a decidere che ruolo abbiamo nella loro vita. Spesso diventiamo valvole di sfogo, giustificazioni di fallimenti, motivi di rabbia. Tutto, fuori dal nostro controllo. Ci hanno insegnato a rispettare gli altri, a cercare di capire cosa si aspettano da noi, per poi renderci conto di quanto questo modo di vedere la società ci abbia distrutto l'anima. A tutti. Devastante, vero? Beh. Il punto di vista degli altri può aiutare molto anche per la nostra crescita personale, se usato bene: sapere come si appare ci può aiutare a portare veramente fuori ciò che di noi vogliamo mettere in evidenza, ma comunque questo non sempre è sufficiente: insomma, se qualcuno ci vuole odiare, incolparci di qualcosa, lo fa e basta, e noi non possiamo impedirglielo, visto che è anche un nostro diritto avere un'opinione, anche arbitraria, e decidere di non cambiarla, o farlo in base alle nostre esigenze.
Eppure, con tutta la razionalità che possiamo usare per tentare di esercitare un distacco dall'opinione che gli altri si sono fatti di noi, in certe circostanze ci sembra di vivere in una gabbia, fatta di proiezioni, quelle che gli altri si sono create di noi, senza avere la possibilità di romperle. Come si fa? Io non lo so, purtroppo non ne ho idea, ma conosco molto bene la sensazione e sto cercando un modo per non farmi troppo male.
Ognuno di noi lotta contro gli stereotipi che la gente si è creata di noi, che in qualche modo abbiamo un qualcosa di universale, ma anche di unico e vorremmo essere ricordati per quello. A volte, è particolarmente avvilente. Siamo tipo 7 miliardi sulla faccia della terra, il sassofono lo suona un sacco di gente, perché su Instagram io dovrei avere più successo degli altri? Mistero. Anzi, diciamo pure che è impossibile. Tutto questo affollamento ci fa venire voglia di lanciare tutto alle ortiche e andare a vivere su Marte, abbandonare il pianeta come i delfini della Guida Intergalattica. Sono sicura che su Marte non ci sono molti sassofonisti, anche perché, diciamocelo: come lo suoni il sassofono su Marte? Quindi inseguire l'originalità a tutti i costi può essere un vero e proprio suicidio. Con gli anni ho imparato a non ossessionarmi sul concetto di originalità basato sul paragone, ho capito piuttosto che è fondamentale concentrarsi su sé stessi, imparare ad ascoltarsi e ad assecondarsi, anche nei difetti e nelle cose brutte, nelle storture, che sono quelle che ci rendono umani e quindi, forse, un po' speciali. Almeno, me lo auguro.
Da quando ho iniziato questo percorso interiore ho scoperto di essere diventata più dura, o meglio: ho riscoperto una durezza che già avevo prima, quando ero adolescente. Ovviamente il consiglio della società fu quello di reprimerla, perché mi avrebbe portato problemi. Beh, vengo dritta al punto: non ha funzionato. Anche se la repressione nel breve termine ha evitato delle piccole rotture di palle con la gente, queste durezze sono esplose, inevitabilmente, ed eccomi qua a cercare di ricostruire i pezzi di una me che non vuole più nascondere le sue bruttezze, se non altro perché ha capito che tanto escono lo stesso o, peggio, nel momento in cui la gente decide che io sono una chiavica, tanto vale che lo faccia per motivi reali e non presunti, cazzo. Quindi la vera domanda è: come sfrutto queste bruttezze e oscenità a mio vantaggio?
Una risposta definitiva ancora non ce l'ho. Però ho capito che bisogna evitare le eruzioni, questo sì, e so come fare: ogni tanto bisogna assecondarsi per evitare un terremoto. Il problema è che non te lo fanno fare. Quindi ora è un enigma di tipo strategico, con il quale tuttavia non voglio tediare i miei numerosissimi fans e lettori, me lo tengo per me.
Una cosa però, cari amici, ve la voglio dire: ho capito che è tutta questione di esercizio. Come ho detto qualche tempo fa nel mio pippone filosofico sulla pazienza, bisogna passare per un periodo in cui si fa assolutamente schifo, per imparare a smussare gli angoli e rendere le nostre bruttezze più digeribili. Quindi esercitiamoci ad essere sgradevoli, prima o poi sarà naturale, lo faremo con grazia e la gente non si sentirà più urtata. O almeno sarà evidente che resta un problema loro, con il quale noi non abbiamo nulla a che fare.
E infine, per quanto possa sembrare brutto all'inizio, dire ciò che si pensa ci rende liberi. Potrà anche scandalizzare tanta gente all'inizio, la quale non mancherà di ostracizzarci, puntare il dito, isolarci. Ma in realtà ci stanno facendo un favore: quando qualcuno esce allo scoperto, diventa un effetto domino e tutti intorno iniziano a mostrare sincerità, una sincera incazzatura e disapprovazione. Very good. Parlare, per iniziare a riconoscersi, è fondamentale.
Farà male da morire. Perderemo un sacco di gente. Molte persone non ci daranno l'opportunità di spiegarci, tanta gente che amiamo inizierà a odiarci. Ma alla fine, chi ci vuole bene capirà. E magari prenderà esempio.

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