Non me lo merito, non te lo meriti

A quanti anni avete scoperto che la vita è ingiusta? Io, per certi versi, molto tardi. Nonostante abbia scoperto il dolore molto presto, e quindi avuto l'opportunità di imparare a conviverci precocemente, sono sempre stata la classica ragazzina a cui veniva tutto abbastanza facile. Ho capito presto che questa cosa mi avrebbe provocato dei problemi: a scuola sono sempre stata vittima di bullismo, ma hanno iniziato a categorizzare il fenomeno quando ne ero ormai uscita. Mi difendevo da sola per quel che potevo, nella maggioranza dei casi mi facevo scivolare tutto addosso, ma non sempre. Mi sono sempre avvalsa di un punto di vista molto esterno ai fatti, mi permetteva di cogliere sfumature che gli altri non vedevano e "chiudere il cerchio", il che mi ha dato un senso di responsabilità, ho iniziato a pensare che forse il mio compito fosse aiutare gli altri. Insomma io ero quella che, se il prof ci divideva in gruppi di lavoro, facevo tutto. Senza neanche accorgermene. Mentre gli altri cazzeggiavano. E forse pensavo anche che, da grandissima stramba quale mi sentivo (e mi sento ancora), l'unico modo per farmi voler bene era fare le cose per gli altri. Insomma come i secchioni delle serie americane. Proprio così.

Si ammalano tutti, io no, quindi il lavoro fisico spetta a me.

Impazziscono tutti, io no, quindi le decisioni le prendo io.

Hanno tutti paura, io pure, però un pochino di meno, forse. Non fa niente, questa questione, l'affronto io.

Complice anche una certa vena iperattiva, che mi faceva essere più veloce degli altri, alla fine inconsapevolmente mi ritrovavo ad essere alfiere di battaglie che.. non erano neanche le mie.

Chissà quanti di voi si stanno identificando in queste poche righe e quanti, invece, pensano che io sia una presuntuosa del cazzo. Ma la sapete una cosa? Il blog è il mio, quindi almeno qua sopra mi concederò di essere presuntuosa.

Comunque tranquilli, se mi state schifando: sono arrivata al burnout.

Che poi in realtà penso che, se ho resistito così tanto, è proprio per quel pizzico di presunzione che mi ha aiutata in questi ambienti iper accademici nei quali sono cresciuta. Ti fanno una testa così con regole antiquate, limitate, perché è così e basta. Ovvio che sono cresciuta con la convinzione che le mie regole fossero migliori di quelle che volevano impormi!

Ho iniziato a fregarmene, poi ho capito che non funzionava perché in questo mondo, ahimè, ci devo vivere, quindi le ho prese come una sfida. Va bene, le devo seguire? Le uso a mio vantaggio, come diciamo a Napoli: ti faccio fesso e contento. Però poi fuori da qui me la vedo io, e nessuno può dirmi niente.

In questo senso, sono una donna libera. Di girare i tacchi e abbandonare qualsiasi situazione mi stia stretta, nonostante questo mi elegga regina di una torre che Babele scansati. E a proposito di tacchi, sono orgogliosissima di non saperli portare a 32 anni suonati (letteralmente suonati, visto che sono una musicista), perché il fatto che una donna debba portare trucco e tacchi a un concerto di musica classica non ha alcun senso, e dopo 20 anni ci è arrivata pure l'alta moda, #nomakeup cos', e sneakers sotto i tailleur pure per le donne. Prego, non c'è di che.

No, non sto dicendo che il merito è mio, voglio dire che come me tantissime altre persone soffrono per delle regole imposte. La differenza fra me e gli altri (salvando sempre la buona pace di chi fa addirittura più rumore di me) è che io alzo la voce, ogni volta che un qualcosa non mi sta bene, lo dico, e prendo un sacco di botte. Una marea. Perché sono femmina, perché scelgo i modi sbagliati? Perché la gente non vuole sentirsi insicura? Trovate la spiegazione che volete, il punto è che le prendo, spesso anche da parte di chi è d'accordo con me. E non me le merito. Perché alla fine andate bene pure voi. Che non ve lo meritate.

Ultimamente ho conosciuto un sacco di gente che, come me, ama vivere con un piede fuori dal mondo, si è ritagliata un piccolo spazio di libertà lontano dalle imposizioni che la gente si sente in diritto di farti perché è così e basta. Evviva! Mi sento a casa. Ma la libertà è una cosa molto pericolosa. La cosa più pericolosa che c'è al mondo.

Molto facile: se non avessimo le regole di grammatica nessuno potrebbe capirci quando parliamo. Se non seguissimo il codice della strada saremmo, come dire.. morti.

Quindi forse qualche regola ci serve. No? Almeno come base di partenza.

Almeno per poter scegliere di non seguirle.

Ma il punto è questo. Scegliere. Prendere posizione.

Un piede fuori va bene, ma solo se serve per tirarlo dentro ogni volta che è richiesto per la nostra sicurezza. Per quella di chi ci vuole bene.

I sottopassaggi alle stazioni esistono per un motivo. Puoi scegliere di attraversare i binari, ma devi avere delle ottime ragioni, che ti facciano dormire la notte, e che non ti facciano avere paura di fare i conti con chi, almeno, ha un'opinione che rispetti. Si presume, le persone che ti vogliono bene, a cui vuoi bene.

Almeno comunica quali sono le tue regole a chi ti vuole bene. Ti riempiranno di botte, non te le meriti, ma poi capiranno, si spera. Almeno non hai leso la loro dignità, trattandoli con onestà. Se vuoi darti questa regola.

Il problema è che le persone che vivono senza regole, le riconosci subito: sono tristi. Non frustrate come quelle che seguono le regole imposte dalla società, non felici e babbee come quelle che non si pongono il problema.

Tristi.

Come una mosca che sbatte contro il vetro di una finestra aperta. Ok mosca. Hai deciso di bucare il vetro? Va bene, ti stai facendo male però. Almeno, lo sai che la finestra è aperta e ci puoi passare attraverso? Potresti anche decidere che non fa per te e scegliere una vita in cattività, ma almeno scegli, prendi posizione e sii felice delle tue scelte, mosca!!

E lo sballo, mosca, lo sai qual è?

Che se la decisione la prendi tu, la puoi cambiare ogni qual volta ti rendi conto che non fa per te!

Se invece lasci che gli eventi si determinino da soli, che scelga qualcun altro per te, rischi di trovarti in trappola e sarai... triste.

Mosca io non voglio che tu sia triste, ma se non decidi, automaticamente stai scegliendo la tristezza, ed io non posso aiutarti. Perché io ho scelto di darmi una chance nell'autodeterminazione, anche se adesso vedo tutto nero e temo di aver sbagliato tutto. Guardandomi indietro vedo un sacco di dolore e mi chiedo se non sia troppo per una vita sola, anzi mezza. Ma quando ci vedrò più chiaro mi darò una pacca sulla spalla e capirò se è il momento di prendere un'altra decisione. Sempre con un piede fuori, per mia libera scelta.

Ciao mosca. Spero che tu scelga bene. Anche se sceglierai di fracassarti il cranio, la prossima volta che passo per la finestra, spero almeno di vederti sorridere. Ti voglio bene.

Commenti

Post popolari in questo blog

Una lettera d'odio